Incontri di formazione per l’autotutela dei lavoratori e delle lavoratrici

incontri autotutela

CONOSCERE LE REGOLE PER CAMBIARLE.

Dall’operaia sindacalizzata dell’azienda multinazionale, al ragazzo di bottega, dalla lavoratrice del call center, al dipendente della piccola azienda a gestione familiare dove il sindacato spesso non può e non mette piede, fino alla cameriera assunta a nero nel pub sotto casa… Quante volte ci siamo trovati a riflettere sulla nostra condizione nel mercato del lavoro? Quante volte ci siamo “sfogati” con amici e compagni – anche sconosciuti! – per un contratto che ci viene magari promesso ma che non arriva mai, che quando c’è non viene rispettato, per rinnovi che ci fanno stare sulle spine fino all’ultimo minuto, per turni e orari assurdi cui siamo costretti, per il furto dei contributi, per un’indennità di disoccupazione che continua a cambiare forma e che non assicura un bel niente? Quante volte ci sentiamo deboli e soli di fronte ad una controparte che sembra avere il coltello dalla parte del manico? Quante volte abbiamo provato la frustrazione di dover abbassare la testa, sapendo che organizzarci sui luoghi di lavoro è difficile, e che anche una domanda, un’osservazione – non parliamo di una critica! – può costarci caro? Ma ci sono dei limiti agli abusi dei padroni? Quali? Se ci sono dobbiamo conoscerli!
Abbiamo deciso di partire da qui, da queste domande, dai nostri “sfoghi”, per costruire degli incontri nei quali poter discutere insieme, con l’ausilio di esperti, delle nostre condizioni di lavoro, per imparare a riconoscere le macroscopiche lesioni di quelle regole che ancora resistono (fino a quando?) a garanzia contro un ulteriore sfruttamento. L’obiettivo è dotarci di armi, di conoscenze “tecniche” di base, che possano tutelarci nella nostra quotidianità sui posti di lavoro.

Per cominciare abbiamo pensato di circoscrivere tre argomenti, e di discuterne uno per incontro:
1) La lettura della busta paga – Sabato 13/12
2) Gli ammortizzatori sociali – Sabato 31/01
3) Come possiamo organizzarci sui posti di lavoro? – Sabato 28/02

AGLI INCONTRI SARA’ PRESENTE UN CONSULENTE DEL LAVORO

Conoscere le regole del gioco è il primo passo che vogliamo fare insieme. Cambiarle il secondo.

PRIMO INCONTRO
LEGGERE LA BUSTA PAGA.
Sabato 13 dicembre – ore 17:00

Nella giungla delle tipologie contrattuali (oltre 40!) e nel perpetrarsi sempre piu’ frequente degli abusi sui posti di lavoro, il lavoratore è sempre piu’ disorientato a capire cosa e quanto gli spetta e in base a quali regole. Anche leggere la busta paga, che dovrebbe essere un documento di facile interpretazione per chi vive del proprio lavoro, diventa sempre più un’impresa ardua e sempre più spesso il padrone ne approfitta per sottrarci salario. E’ giusto il mio stipendio? Svolgo una mansione idonea in base al mio inquadramento? Mi vengono accreditati i giusti contributi? Ho diritto agli 80 € o ad altro tipo di agevolazioni? Vengono applicate le poche regole che mi restano? Queste e numerose altre domande spesso ci facciamo senza saper trovare da soli una risposta e frequenti sono oramai i casi in cui i sindacati gialli, complici dei padroni, ci forniscono risposte fuorvianti. Proviamo quindi a capirci qualcosa in piu’ con la consapevolezza che conoscere le regole è il primo passo per cambiarle!

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Fuori la polizia dall’università!

illegalità diffusa

Questa mattina migliaia di studenti medi e universitari sono scesi in piazza a Napoli contro i tagli all’istruzione, per il diritto allo studio, contro la legge di stabilità, contro l’inquinamento ambientale e gli sversamenti di rifiuti tossici nelle nostre terre.

Proprio mentre il corteo si trovava davanti all’assessorato all’ambiente di via Marina, gli studenti sono stati caricati dalla polizia e, dopo aver resistito alla carica, alcuni di loro sono stati costretti a rifugiarsi dentro la facoltà di Giurisprudenza della Federico II, a via porta di Massa.

La polizia è entrata all’interno della facoltà conducendo una vera e propria caccia all’uomo, caricando gli studenti ed effettuando addirittura un fermo.

Riteniamo che questo sia un atto gravissimo! Non è concepibile il pestaggio di studenti all’interno di un’Università pubblica! E altrettanto grave è la tacita complicità delle figure accademiche, rettore e preside della facoltà in primis, che non hanno impedito l’accesso alla polizia nell’università, e ancora in questo momento non hanno preso posizione in merito ai fatti di oggi!

E’ paradossale che tutto ciò sia accaduto all’interno di una facoltà come quella di Giurisprudenza, che dovrebbe farsi promotrice delle idee di giustizia, di tutela delle libertà umane, della libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero, di partecipare attivamente alla vita politica!

FUORI LE FORZE DELL’ORDINE DALL’UNIVERSITA’!

MARTEDI h 14.30 ASSEMBLEA PUBBLICA

PRESSO LA SEDE DI VIA PORTA DI MASSA, FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA!

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Chi ha inquinato deve pagare! #stopbiocidio

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La Campania è stata per anni luogo di sversamento di rifiuti tossici, roghi e discariche abusive. In particolare, come si evince dalle dichiarazioni di più pentiti, le imprese del nord hanno affidato alla criminalità organizzata, per risparmiare sui costi, il trattamento dei prodotti chimici industriali, che sono dunque finiti nelle nostre terre. Ciò ha determinato, soprattutto negli ultimi 20 anni, un aumento esponenziale del tasso di tumori, malformazioni, e mortalità per patologie tumorali.

Ed è importante sottolineare come per anni lo Stato si sia reso complice di questo “sterminio di massa”: basti pensare che nel 2008 con un decreto-legge (d-l 90/2008), dichiarando  lo “stato di emergenza” in Campania, il governo di allora ha legittimato la costruzione di discariche prive dei requisiti di legge (in particolare è stato eliminato l’obbligo dell’impermeabilizzazione del fondo delle discariche),  nonché militarizzato i luoghi ritenuti strategici per la costruzione di discariche e termolavorizzatori, prevedendo pene detentive fino a 5 anni per i manifestanti dissenzienti.

Riteniamo che le battaglie ambientali debbano andare di pari passo alle lotte contro questo sistema economico, il capitalismo, che ha come unico obiettivo la produzione del profitto, anche a costo della vita degli uomini. Le lotte ambientali devono essere legate alle lotte di precari, disoccupati, studenti, per la costruzione di un sistema che si ponga come alternativo alla logica del profitto!

Martedì h. 11, aula Ottagono, sede Centrale Federico II, Assemblea d’Ateneo.

Sabato 16 novembre, h 14.30, piazza Mancini. #STOPBIOCIDIO

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È COS’ E NIENTE

chi ha inquinato deve pagare

La terra che gli antichi Romani chiamavano Campania Felix (“prosperosa”, perché molto fertile) nel 2004 viene definita da Alfredo Mazza “Triangolo della morte”.  Il ricercatore del CNR di Pisa si riferiva alla zona tra Nola, Acerra e Marigliano in cui, a causa dello sversamento illegale di rifiuti tossici,  l’indice di mortalità (numero di morti l’anno per ogni 100 000 abitanti) per tumore al fegato sfiorava il 38.4 per gli uomini e il 20.8 per le donne, dove la media nazionale era del 14.

Nel 2006 Saviano parla di “terra dei fuochi” in riferimento ai roghi appiccati per eliminare copertoni. Il vento proveniente dal mare ne porta i fumi  nei centri abitati. Questi roghi sono diventati più frequenti durante la crisi dei rifiuti in Campania del 20072008, quando potevano essere confusi tra quelli dei cumuli di immondizia.
Dall’incendio dei rifiuti deriva la produzione di scorie altamente tossiche, tra cui la diossina: oltre a respirarle, vengono assorbite dai terreni coltivati, per azione delle piogge.
Nel 2007 uno studio dell’OMS evidenzia che la mortalità per tumore è aumentata del 21%  nei comuni della provincia di Caserta e del 45% nei comuni della provincia di Napoli. Riscontra inoltre eccessi di malformazioni congenite.

Nel 2008 il boss Vassallo confessa che per 20 ANNI  sono stati sversati sistematicamente in Campania rifiuti tossici, la maggior parte dei quali provenienti dal nord Italia. Le testimonianze sono state confermate dal fatto che nelle campagne campane e nel sangue di alcuni abitanti sono state misurate alte concentrazioni di PCB (policlorobifenili), prodotti da industrie chimiche assenti in regione.

Il pentito Carmine Schiavone racconta che sono stati scaricati camion di fusti tossici sotto cave di sabbia, che hanno raggiunto le falde acquifere, nel tratto che va da Baia Domizia a Pozzuoli.  Sono stati interrati da Castel Volturno al basso Lazio rifiuti contenuti in cassette di piombo che negli anni si sono aperte. Contenevano scarti di pittura, farmaceutici, chimici, ospedalieri e poi fanghi termonucleari provenienti da ditte di Pisa, Milano, Verona, Porto Marghera, ma anche da Germania, Austria, Francia. Ma, pur ammettendo i danni provocati dalla camorra alle terre e alla popolazione campana, in un’intervista afferma:
Il magistrato, il ministro, il poliziotto, il carabiniere venduti sono più responsabili di me; perché hanno permesso questo!” e ancora: “Si potrebbe anche distruggere la mafia, ma non distruggeranno mai niente perché ci stanno forti interessi a livello economico ed elettorale! Noi spostavamo 70-80.000 voti e significava la differenza tra un partito ed un altro”.
Solo oggi, dopo 16 anni, è stato rimosso il segreto di stato apposto alle sue dichiarazioni del 1997.

A settembre di quest’anno, grazie alle rivelazioni di un collaboratore di giustizia che ha svolto attività di scavo per conto dei Casalesi, sono stati ritrovati fusti con fanghi industriali, in un terreno a Casal di Principe, pari al contenuto di 20 camion. I rifiuti sarebbero stati nascosti nella zona agli inizi degli anni novanta.

In un servizio de Le Iene il parroco di Caivano Don Maurizio Patriciello fa notare, nelle piazzole di sosta della tangenziale, lastre di amianto e altri materiali, coperti solo da cellofan per metterli in sicurezza, ma già corroso dalle sostanze da esse sprigionate. Poi, indicando tra le campagne, commenta con amarezza:
Le piccole montagne nere che si vedono non sono che residui di tonnellate di rifiuti speciali bruciati e accanto ad esse, campi coltivati”.

L’amianto sbriciolato se respirato, può provocare il mesotelioma, anche dopo anni dall’inalazione. Sono state fatte denunce, ma non è servito a niente: tanti i bambini morti di tumore. Il parroco parla di un “POPOLO CONDANNATO A MORTE” aggiungendo che è un problema nazionale ed anche gli stessi figli dei camorristi ne sono potenziali vittime!

Da alcune discariche esce del fumo, non per le fiamme, ma a causa di reazioni chimiche che si sviluppano da anni tra tonnellate di rifiuti tossici. Vi sono terreni interdetti alla coltivazione perché situati accanto a discariche che continuano a dare frutti che sistematicamente vengono messi in commercio; pozzi da cui non si dovrebbe attingere acqua, perché inquinati dalle sostanze tossiche, che continuano ad essere utilizzati per irrigare i campi. Qui i contadini  coltivano pomodori che vendono a soli 8 centesimi al kilo alle più grosse industrie di tutta Europa ed altre verdure ad una nota marca di surgelati di cui Le Iene oscura il nome. Un agricoltore dice che non solo frutta e verdura, ma anche la carne è avvelenata! Addirittra PCB di un’industria di Brescia è stato usato come CONCIME nelle campagne di Acerra, Caivano e zone limitrofe.

Un medico dell’Istituto Tumori Napoli Fondazione Pascale racconta che negli ultimi 20 anni si è registrato un aumento del 100% di tumore a polmone e fegato in provincia di Napoli e Caserta e un generale aumento dei tumori alla vescica e di linfomi non Hodgkin.

Il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, afferma che serviranno 80 anni per bonificare i territori dell’area Nord di Napoli: “Per l’inquinamento dell’area la bonifica non sarà completa prima del 2050 e, per quanto riguarda il percolato, dovremmo aspettare fino al 2080.”

Di fronte a tutto ciò non possiamo restare a guardare, facciamoci sentire, gridiamo che vogliamo vivere!

Chi ha inquinato le nostre terre per fare profitti deve pagare!

Il 16 novembre alle 14.30 a Piazza Mancini: stop biocidio!

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SARA E CELESTE LIBERE! TUTT* LIBER*!

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Sabato 19 Ottobre la partecipatissima manifestazione romana ha portato in piazza quasi 100mila persone.

Abbiamo gridato che è il momento che ci diano un lavoro dignitoso, un posto di lavoro tutelato e garantito. Tantissimi i compagni in piazza nello spezzone per il diritto alla casa, ai servizi sociali, per opporsi alle inutili grandi opere come il TAV o il MUOS.

L’arresto delle nostre compagne Sara e Celeste del Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli e di 4 compagn* ha rappresentato il solito pretesto politico per questura e Ministero degli Interni per provare a dividere i manifestanti tra pacifici e violenti, per puntare il dito contro i riottosi, contro i black-bloc.

La lotta delle nostre 2 compagne che da anni si battono per un’università pubblica, per una vita dignitosa per tutti, è l’unica vera colpa imperdonabile agli occhi di uno Stato che fa della cruda repressione l’arma più violenta contro ogni opposizione politica e sociale nel paese.

SI PARTE E SI TORNA TUTTI INSIEME!

RIPORTIAMO INDIETRO CELE E SARA!

TUTT* LIBER*!

Mercoledi 23 Ottobre alle ore 10, sotto al carcere di Regina Coeli, durante ci sarà un presidio di massa per chiedere l’immediata liberazione dei compagni e delle compagne presi il 19O.

Venerdì 25 – Napoli (piazza del gesù – ore 9:30) – Manifestazione

Il blog del legal team Rete Evasioni che si sta occupando della difesa legale dei/lle compagn* arrestat*.

http://www.inventati.org/rete_evasioni/?p=1111

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STOP SFRUTTA-MEETING! NON CI RICATTERETE MAI!

Oggi, 8 ottobre, a Napoli, abbiamo interrotto il tranquillo svolgersi del job-meeting volantinando ed esponendo due striscioni nell’atrio della facoltà di ingegneria della FedericoII, dove si teneva il vergognoso evento.
Si tratta di un’oscena esposizione di “offerte di lavoro” all’indirizzo dei laureandi da parte di varie aziende, presenti con appositi stands all’interno della sede universitaria. Ovviamente le “offerte” riguardano stages gratuiti, masters a pagamento e altri contratti precari, i quali prefigurano lo sfruttamento cui vanno incontro gli studenti, innescando già dall’ingresso al mercato del lavoro una forte competizione.

jobmeeting 1 Non vogliamo farci ricattare! Non vogliamo farci piegare alle logiche aziendali! L’Università dovrebbe creare istruzione di massa , non carne da macello da gettare sul cosiddetto “mercato del lavoro” alla mercè dei padroni! Proponiamo, con quest’azione, agli studenti di organizzarsi e lottare per il proprio futuro, già a partire dalla manifestazione del  19 ottobre  e dallo sciopero generale del 18 ottobre, irrinunciabili occasioni di costruzione dell’unità fra studenti e lavoratori contro la condizione di sfruttamento e precarietà .

 

CACCIAMO LE AZIENDE DALLE NOSTRE UNIVERSITA’! LOTTIAMO PER IL NOSTRO FUTURO!

CAMBIA IL TEMPO!

SCENDIAMO IN PIAZZA LE GIORNATE DEL 18 E 19 OTTOBRE!

CDUP Ingegneria – Collettivo Giurisprudenza Indipendente – Collettivo Autorganizzato Universitario

 

Di seguito il volantino distribuito
Job Meeting: Precarietà mascherata da opportunità

Da diversi anni nella nostra facoltà si svolge il Job Meeting,una giornata in cui le aziende vengono nelle università a reclutare studenti freschi di laurea: ci si avvicina agli stand con la speranza e la convinzione di aver trovato una via “breve” nella ricerca del lavoro, tuttavia, una volta consegnati curricula e quant’altro, ci si trova di fronte solo “proposte” di stage gratuiti, master a pagamento,  contratti di apprendistato e promesse vaghe.

Così, alle aziende viene offerta su un piatto d’argento “carne da macello” da sfruttare e da ingannare con appositi proclami riguardo la loro “preoccupazione” e premura nei confronti dei giovani e la loro efficienza. La realtà, però, è ben altra: quello che viene fatto passare come un’opportunità per gli studenti e indice di “modernizzazione dell’Università” non è altro che l’ennesima dimostrazione dell’aziendalizzazione dell’università.
E quella che dovrebbe essere una prima esperienza lavorativa, altro non è se non un’ulteriore spesa per le famiglie, costrette a mantenere i propri figli anche dopo la laurea mentre svolgono stage senza retribuzione alcuna o con un esiguo rimborso, “lavorando” spesso in una città diversa da quella di residenza. Può mai questo considerarsi “lavoro”?
NON FACCIAMOCI UMILIARE! L’Università dovrebbe essere luogo di formazione  per noi studenti, non un posto per reclutare giovani disperati e precari per le aziende! Dobbiamo respingere questi tentativi di propinarci contratti vergognosi o, addirittura, di farci pagare per lavorare
Alla distruzione dell’Università e allo smantellamento dei nostri diritti, avvenuta negli ultimi decenni dalle varie riforme del sistema formativo, opponiamo la lotta, per ottenere un’Università di massa, pubblica, non alla mercé delle aziende e dei loro profitti.
INIZIAMO A LOTTARE! RESPINGIAMO LE LOGICHE DELL’ATTUALE MERCATO DEL LAVORO CHE CI IMPONE SFRUTTAMENTO E PRECARIETA’!
Verso la manifestazione del 19 ottobre a Roma! Cambia il tempo!
C.D.U.P Ingegneria- Collettivo Autorganizzato Universitario- Collettivo Giurisprudenza Indipendente

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CAMBIA IL TEMPO! LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI

cambia-il-tempo
Appello per la costruzione di uno spezzone anticapitalista e di classe al corteo del 19 ottobre a Roma.

Iniziamo dalla fine: perché scenderemo in piazza il 19 ottobre? Per iniziare un percorso faticoso e lungo, ma necessario. Per provare a rimettere al centro le questioni del lavoro e dei diritti ad esso connessi, ormai depennate dall’agenda politica dei governi, della maggior parte delle organizzazioni politiche e – paradossalmente – anche sindacali, in nome dei sacrifici “necessari a salvare il nostro Paese”e dell’unità nazionale.

Queste questioni ci chiamano in causa tutti, in prima persona. Chi si trova nella fascia tra i 20 e i 30 ed è stato sostanzialmente privato del futuro e vive un presente di disoccupazione o, nel “migliore” dei casi, di precarietà assoluta (senza prospettive né sul piano professionale, né su quello esistenziale); chi di anni ne ha molti di più, e casomai un lavoro ce l’ha, ma rischia continuamente di perderlo e vede quotidianamente negati i suoi diritti.

Questo è il quadro davanti al quale ci ha messo la crisi e questa, per quanto ambiziosa possa sembrare, è la battaglia che oggi più che mai ci sembra necessario intraprendere: quella per il diritto al lavoro, a lavorare meno, a lavorare tutti, in sicurezza e a parità di salario. Perché chi sta “dentro” al mercato del lavoro possa non morire di fatica e di ipersfruttamento e chi sta “fuori” entri dentro e prenda parola, libero da logiche assistenziali, per incidere direttamente sulle forme del dominio.

Dal 2007 in poi con la crisi si è prodotta una serie di trasformazioni rapidissime e decisive:
 c’è stata una rapida e incisiva concentrazione dei capitali, sono cambiate le relazioni fra gli Stati, sono scoppiate guerre e rivolte, e l’assetto dell’Unione Europea si è ulteriormente gerarchizzato.

Il paesi locomotiva dell’UE, Francia e, soprattutto, Germania hanno fatto valere il loro peso e tentato di “prendere il controllo” di quelli che versavano in condizioni più critiche, in particolare Grecia, Portogallo, Italia; l’operazione di “salvataggio” dei “paesi in difficoltà” messe in campo dalla Banca Centrale Europea (l’Outright Monetary Transactions, cioè l’acquisto diretto da parte della BCE di titoli di stato a breve termine emessi da paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata) è infatti vincolata alla disponibilità del paese “da salvare” di assoggettarsi allo European Stability Mechanism, un programma di stabilità che di fatto esautorerà, ancora più di adesso, la sovranità nazionale. Ci troviamo dunque di fronte ad un vero e proprio campo di battaglia nel quale diverse frazioni di borghesia – di paesi differenti in competizione tra loro o, trasversalmente, all’interno del medesimo paese – si affrontano per difendere e affermare i loro interessi.

La parziale anomalia della struttura produttiva e sociale del capitalismo italiano ha fatto sì che gli effetti della crisi siano stati più forti nel nostro Paese e abbiano portato a un tentativo evidente di ridisegnare anche gli equilibri interni alle stesse classi dominanti (il Governo Monti è stato interprete per eccellenza di questo tentativo, cercando di mistificarlo dietro la retorica della “salvezza della Nazione”). Una frazione della grande borghesia italiana, più legata ai movimenti internazionali di capitale, sta infatti provando a sgominare e assorbire tutti quei soggetti che vivono “parassitariamente” del plusvalore estratto nella sfera della produzione (la filiera del commercio, gran parte dei professionisti e di quei ceti corporativi che sopravvivono grazie a licenze e privilegi, “gli esperti della politica” e il management pubblico).

Ma veniamo a noi
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un attacco violentissimo contro il salario diretto, indiretto e differito (che ha riguardato anche i cosiddetti “cedi medi”, che vanno impoverendosi di giorno in giorno e la cui progressiva estinzione è sintomo della polarizzazione che sempre più contraddistingue anche il nostro Paese), ad un aumento dei ritmi di lavoro e ad una compressione dei diritti. Questa compressione ha riguardato le libertà politiche in senso generale – con un succedersi di governi tecnici e di “larghe intese”, una sempre maggiore militarizzazione dei territori e con una repressione violentissima e spesso “preventiva” di ogni forma di dissenso – ma anche la soppressione della democrazia sui posti di lavoro: la modifica dell’articolo 18, i diktat del piano Marchionne, la riforma Fornero e il recente accordo di rappresentanza – solo per citare alcuni esempi – vanno esattamente in questa direzione. Il tutto giustificato in maniera ideologica con la presunta insostenibilità del debito pubblico, che di certo non è esploso per favorire chi adesso sta subendo gli effetti più devastanti di questa crisi, e la necessità di “tranquillizzare” i mercati, che altro non sono che i capitali trasnazionali in cerca di valorizzazione.

Gli effetti silenziosi di una situazione così drammatica sono stati la ricerca di un lavoro all’estero o il ricorso ai risparmi familiari per sopravvivere.

Negli scorsi anni, nonostante il disagio e la rabbia sociale siano palpabili, non abbiamo assistito nei settori lavorativi a grandi mobilitazioni sia perché, e ci si scuserà la semplificazione, i sindacati confederali fanno ormai a tutti gli effetti da “tappo”, utilizzando ogni arma per bloccare le spinte dal basso che ogni tanto si producono, sia perché le situazioni di tensione che si sono create sono dipese quasi sempre dalla chiusura delle attività, sono partite cioè quando il potere collettivo dei lavoratori era già stato messo in discussione dalla loro espulsione dal ciclo produttivo. I momenti di piazza, anche importanti numericamente e radicali sul piano del conflitto, sono stati “esplosioni” di rabbia significative sul piano sociale, ma che hanno lasciato poco o niente sul piano politico.

A questi fallimenti, a questo immobilismo, spesso si è risposto rinunciando, o ripiegando su altre lotte – apparentemente più facili da vincere – mentre il nodo gordiano è sempre lì ad attenderci, quello del conflitto tra capitale e lavoro. Ma di cosa parliamo quando evochiamo questo conflitto, di cosa si tratta in fin dei conti? Parliamo dell’incompatibilità radicale (che viene mistificata in ogni modo) tra chi produce e chi beneficia della fatica altrui, tra chi è disoccupato e chi lo mantiene in stand by per poterlo meglio ricattare, tra chi aspira ad entrare nel mercato del lavoro e costruirsi un futuro e chi sceglie di tenerlo fuori in modo da far lavorare – e dunque pagare – meno persone, ma sfruttandole più intensamente e per più ore.

Da una parte ci siamo noi, dall’altra ci sono loro.
E se loro provano a confonderci con divisioni e contrapposizioni che non ci riguardano (la “troika” contro i P.I.G.S, i padri contro i figli, quelli che lavorano a tempo indeterminato – i “privilegiati” – contro i precari o quelli che lavorano contro quelli che sono disoccupati) allora ilnostro primo compito è tracciare di nuovo, in maniera chiara e netta, la linea che concretamente ci separa. 

La crisi economica ci offre tanti frutti avvelenati, ma è anche un’occasione per segnare questo confine, per individuare un punto di partenza dal quale ricominciare a combattere per i nostri diritti, per aprire nuovi spazi, organizzarsi e far ripartire un ciclo di lotte come è accaduto e sta accadendo in tanti Paesi nel mondo, in Turchia, in Nord Africa, in Brasile, in Messico. Queste lotte – alle quali siamo materialmente, concretamente connessi e non certo solo ideologicamente o “sentimentalmente” vicini, in quanto dal loro esito dipendono anche le nostre possibilità e prospettive – dimostrano che, a livello globale, esistono ancora le condizioni per sottrarre a chi ci sfrutta parte del suo potere, per contrastarlo, per provare a ribaltare la situazione. Queste lotte ci dicono che la linea di separazione di cui parlavamo non divide il mondo tra Nord e Sud o tra Est e Ovest e che siamo dalla stessa parte della barricata nella battaglia per riprenderci il lavoro, la giustizia sociale, il futuro.

Mica facile, ma dobbiamo provarci. Il 19 ottobre non cambierà il mondo, non assalteremo “il palazzo d’inverno”, ma da qualche parte bisogna cominciare.

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Il valore dell’art.138

img costituzione

Le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio, manifestano, anche per coloro che non siano venuti a conoscenza del disegno di legge costituzionale n.1359 per l’ istituzione di un Comitato parlamentare per le Riforme costituzionali ed elettorali, l’ intenzione di modificare la seconda parte della Costituzione. Tale Comitato, costituito da 20 senatori e 20 deputati, scelti all’ interno della Commissione Affari Costituzionali, coadiuvato da 35 saggi e 7 esperti, dovrà redigere il testo definitivo e trasmetterlo alle Camere, che dovranno solo votarlo. Ciò avverrà in completa deroga all’ art.138 della Costituzione per cui, come si legge, la revisione è adottata da ciascuna Camera con due deliberazioni successive ad intervallo non minore di tre mesi ed approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Nel caso in cui non fosse raggiunta la maggioranza assoluta, bensì la maggioranza relativa, è previsto un referendum confermativo.

E’ evidente, pertanto, come tale disegno di legge permetta un autentico colpo di Stato da parte dell’ attuale governo ”delle larghe intese” che, con un semplice accordo tra Pd, Pdl, LegaNord e SceltaCivica con Monti potrà modificare arbitrariamente la Costituzione senza rispettare le minoranze parlamentari né seguendo un procedimento di revisione costituzionale tipico, anzi, tout court atipico attraverso il ricorso ad un Comitato formato da membri di entrambi i partiti.

In secondo luogo, il suddetto disegno di legge costituzionale n.1359, recita grottescamente che la revisione costituzionale riguarderà la seconda parte della Costituzione e afferirà alla forma di Stato, la forma di Governo, e il bicameralismo. Dunque, si intende modificare la stessa forma di Stato ? Ci pare necessario opporci prontamente a questo tentativo di trasformazione di un potere costituito in potere costituente, non già perché ci riteniamo conservatori né perché feticisticamente legati alla Costituzione, bensì perché tale tentativo avviene nelle ”segrete stanze” prendendo per il culo un intero popolo.

La prima parte della Costituzione, quella che contiene i principi su cui si fonda la nostra Repubblica, le libertà e i diritti popolari, pur sempre frutto di un compromesso tra differenti culture politiche (liberale, cattolica, socialcomunista) sulla base comunemente condivisa dell’ antifascismo, è ormai tristemente letteratura d’ altri tempi.

Le recenti dichiarazioni della banca d’ affari statunitense Jp Morgan, non lasciano adito a dubbi: ”[…]I sistemi politici del Sud sono nati in seguito alle dittature e sono rimasti segnati da quella esperienza. Tendono a mostrare una forte influenza socialista, che riflette la forza politica che i partiti di sinistra hanno guadagnato dopo la sconfitta del fascismo.I sistemi politici nell’Europa meridionale hanno di solito le seguenti caratteristiche: leadership debole, stati centrali deboli rispetto alle regioni, la tutela costituzionale dei lavoratori (…) il diritto di protestare se i cambiamenti sono sgraditi. (…) Vi è una crescente consapevolezza della portata di questo problema, sia nel centro che nella periferia dell’Europa[…]”. E’ evidente che il Capitale mondiale e le istituzioni finanziarie, che intendono acquistare attività produttive a capitale nazionale a prezzi stracciati dei paesi in difficoltà, siano favorevoli ad una modifica della Costituzione, giacchè, il tramonto del potere del Parlamento e il rafforzamento del governo, non potrà che rafforzare ulteriormente l’ adozione di ulteriori tagli alla spesa pubblica e la subordinazione del concetto di rappresentanza politica a quello di governabilità.

Nella parte che si intende ”revisionare” è incluso l’ art.42 che vincola la tutela della proprietà privata che può essere espropriata a fini di utilità pubblica. Dopo aver calpestato di fatto la prima parte della Costituzione, il governo si appresta a modificare di diritto la seconda, affinché abbiano tutte le possibilità di creare una massa di servi, di persone senza diritti e libertà, proni al gigante Capitale.

Sposa la nostra causa, riappropriamoci dei nostri dritti perché solo la lotta paga.

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STUDIA. PENSA. LOTTA.

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Un nuovo anno di corsi sta per iniziare.

La nostra rabbia e voglia di riscatto contro le ingiustizie della nostra società sono sempre le stesse.

Le nostre lotte contro un sistema dove la smania di profitto divora ogni straccio di diritto umano ci vedono ancora più determinati.

Costruiamo un autunno di lotta nel nostro paese dopo le riforme del mercato del lavoro che allontanano ogni possibilità per noi giovani di affacciarsi su un possibile impiego lavorativo che sia tutelato e a tempo indeterminato.

In un momento di duro attacco ai diritti fondamentali di ognuno di noi, dalla modifica della Costituzione cui il governo Letta ha già aperto la strada, al consolidamento del sistema del numero chiuso che sbarra l’ingresso all’università pubblica di gran parte di noi in nome di una finta “meritocrazia” imposta dai governi che in questi anni non hanno saputo fare altro che farsi dettare l’agenda politica dai diktat di Confindustria e della BCE, la nostra prima esigenza diventa oggi più che mai quella di organizzarci partendo proprio dalle facoltà che sono per noi ogni giorno luogo di ritrovo, di studio, di confronto.

Verso la mobilitazione del 18 e 19 ottobre a Roma.

Non restiamo a guardare, non lasciamoci portare via il futuro.

Aderisci, partecipa, autorganizzati.

COLLETTIVO GIURISPRUDENZA INDIPENDENTE

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Solidarietà con i 73 avvocati turchi arrestati!

avvocati turchia
Da giorni focolai di rivolta in tutta la Turchia stanno mettendo a dura prova la tenuta del governo di Erdogan.
I soprusi da parte della polizia, fra cui persino casi di stupro ai danni di giovani studentesse, ci testimoniano un clima sempre più vicino a quello di una vera e propria guerra civile che, in qualche modo, è quello che si teme con la linea dura appena annunciata dal primo ministro.
Alcuni avvocati tentano, da molto prima che la protesta esplodesse in tutto il suo fragore, di portare giustizia e trasparenza in un paese dominato, da oltre un decennio, dal “Partito per la Giustizia e lo Sviluppo” (AKP), un partito deciso a portare la Turchia nell’Unione Europea attraverso politiche neo liberiste e privatizzazioni, a cui assistiamo oggi in tutta Europa, nel nome di un capitalismo senza scrupoli a cui ogni bene è sacrificabile, anche ogni sorta di diritto fondamentale.
Già il 18 gennaio sedici avvocati difensori di persone impegnate in lotte sociali sono stati arrestati. Tale evento e’ stato denunciato da associazioni dei diritti umani come Amnesty International ed Human Rights Watch, oltre che dalle associazioni di giuristi. Tali associazioni hanno rilevato la violazione di varie norme internazionali ed europee sui diritti umani oltre che dei Basic Principles sulla professione legale emanati dalle Nazioni Unite.
Nel novembre 2011 furono 46 gli avvocati arrestati per avere difeso persone legate ai movimenti kurdi. Molti di questi si trovano ancora in carcere e non si sa se e quando potranno uscire.
Oggi l’ingiustizia raggiunge dimensioni spaventose con l’arresto, totalamente fuori da ogni principio di legalità, di 73 avvocati che stavano manifestando pacificamente contro le brutalità del governo Erdogan.
Un centinaio di loro colleghi si è riunito davanti al commissariato in cui sono detenuti per chiederne la liberazione.
In quanto collettivo di giuristi non possiamo esimerci dall’esprimere tutta la nostra solidarietà agli arrestati, chiedendone l’immediata liberazione e la fine di ogni tentativo di repressione da parte di uno Stato criminale e fascista.
Invitiamo voi tutti ad inviare messaggi di protesta ai seguenti indirizzi mail

Questo un testo consigliato: FREEDOM FOR TURKISH DEMOCRATIC LAWYERS – STOP HARRASSMENT AND REPRESSION AGAINST TURKISH DEMOCRATIC MOVEMENT

questi gli indirizzi a cui inviare i messaggi:

veysikaynak@adalet.gov.tr  vice ministro della Giustizia

berdem@adalet.gov.tr   sottosegretario alla Giustizia

berdem@adalet.gov.tr   governo turco

ambasciata.roma@mfa.gov.tr   ambasciata di Roma

consolato.milano@mfa.gov.tr   consolato di Milano

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