La Riforma del mercato del lavoro, approvata con legge 18/06/2012 n 98, voluta dal Ministro del Lavoro Elsa Fornero, ha rivoluzionato molti istituti della disciplina legislativa del mercato del lavoro.
Spicca il ruolo centrale dato al contratto di apprendistato, che nelle intenzioni del legislatore rappresenta il “canale privilegiato” di accesso al mondo del lavoro per i giovani, e la modifica della disciplina dei licenziamenti individuali.
Ma vediamo più nel dettaglio cosa è cambiato, nel nostro ordinamento, dopo l’entrata in vigore della Riforma.
1. DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RIFORMA DELLE TIPOLOGIE CONTRATTUALI
La riforma del mercato del lavoro firmata Monti-Fornero ci è stata presentata fin dall’inizio, da gran parte dei media e delle forze politiche, come l’unica possibile via d’uscita dal precariato e da forme contrattuali ormai obsolete e poco adatte al “mercato attuale”. Attraverso un’analisi delle tipologie contrattuali presenti nel testo di legge notiamo come gli obiettivi che si era dichiarato di voler perseguire siano stati clamorosamente disattesi. Partendo da un’analisi tecnica delle singole fattispecie notiamo che non solo non saranno abolite le forme di precariato che attualmente colpiscono il mondo del lavoro ma sarà anche più facile, con le nuove disposizioni, eludere l’applicazione dei contratti a tempo indeterminato, che presentano maggiori tutele. In questo modo non si farà altro che aumentare lo sfruttamento di giovani, precari e neolaureati sul posto di lavoro.
Le manovre che aboliscono l’obbligo di causalità per il primo contratto a tempo determinato e che lasciano intatto il sistema degli attuali contratti di somministrazione, che vedono il coinvolgimento di vere e proprie “agenzie di sfruttamento autorizzate” quali definiamo le agenzie di somministrazione, si muovono senz’altro in questa direzione.
Chiari segnali arrivano anche dalla netta volontà, rafforzata nel presente testo di legge, di spostare l’intero concetto di “normalità” lavorativa dal contratto a tempo indeterminato a quello di apprendistato che non assicura al lavoratore tutele nemmeno lontanamente paragonabili a quelle che dovrebbero essere garantite sul posto di lavoro secondo i nostri principi costituzionali.
Andiamo ad analizzare le modifiche più interessanti della riforma.
1.1 Contratto a tempo determinato
Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro in cui è indicata la durata e la data di termine del rapporto di lavoro. E’ stipulato tra il datore di lavoro e il lavoratore dipendente a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo riferite anche all’attività ordinaria del datore di lavoro.
Ampliamento dell’intervallo tra un contratto e l’altro a 60 giorni nel caso di un contratto di durata inferiore a 6 mesi, e a 90 giorni nel caso di un contratto di durata superiore (attualmente, 10 e 20 giorni).
Prolungamento del periodo durante il quale il rapporto a termine può proseguire oltre la scadenza per soddisfare esigenze organizzative, da 20 a 30 giorni per contratti di durata inferiore ai 6 mesi e da 30 a 50 giorni per quelli di durata superiore.
Il primo contratto a termine non deve più essere giustificato attraverso la specificazione della CAUSALE di cui all’art.1 del Dlgs 368/01.
Fino ad oggi l’insussistenza di quelle ragioni che dovevano essere comunicate in forma scritta, era motivo di nullità del termine. Negli ultimi 10 anni, grazie alla previsione per cui le esigenze produttive – organizzative – sostitutive devono essere specificate nella lettera contratto di assunzione, l’abuso del contratto a termine è stato sistematicamente stroncato in giudizio almeno 9 volte su 10.
Il problema è, se mai, che solo una piccola parte dei contratti a termine o di lavoro somministrato illegittimi, per mancanza di specificazione o di vera temporaneità dell’esigenza, sono stati portati in giudizio.
Ciò avviene per la faticosa modalità di controllo a cui sono sottoposti sindacati e istituti previdenziali nel monitoraggio dei dati relativi all’occupazione lavorativa posseduti dal nostro apparato amministrativo (l. 241/90).
NULLA viene detto circa l’abuso più comune dei contratti di somministrazione ossia quello di reiterarli all’infinito senza che si abbia nessuna apprezzabile ragione.
1.2 Lavoro a progetto
Il lavoro a progetto sostituisce quello che prima era chiamato Rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, quindi stabilisce in sede contrattuale il tempo di durata del contratto, il progetto realizzabile concretamente, la retribuzione da corrispondere, tempi e metodi di pagamento, forme di coordinamento del lavoratore, misure di sicurezza adottate nei confronti del lavoratore a progetto.
Sono introdotti requisiti più rigidi per la definizione del progetto:
la tendenziale limitazione dell’istituto a mansioni non meramente esecutive o ripetitive così come eventualmente definite dai contratti collettivi, al fine di enfatizzarne la componente professionale;
l’introduzione di una presunzione relativa in merito al carattere subordinato della collaborazione quando l’attività del collaboratore a progetto sia analoga a quella svolta, nell’ambito dell’impresa committente, da lavoratori dipendenti fatte salve le prestazioni di elevata professionalità;
l’eliminazione della facoltà di introdurre nel contratto clausole individuali che consentono il recesso del committente, anteriormente alla scadenza del termine e/o al completamento del progetto (resterebbe ferma la possibilità di recedere per giusta causa, per incapacità professionale del collaboratore che renda impossibile l’attuazione del progetto, e per cessazione dell’attività cui il progetto è inerente);
l’abolizione del concetto di “programma”.
Sul versante contributivo, è introdotto un aumento dell’aliquota contributiva che passerà dal 27% al 33% entro il 2018 (raggiungendo i livelli del lavoro dipendente). Il rischio, però, è che queste forme di lavoro, non essendo state agganciate ai minimi retributivi del lavoro dipendente, vedano in futuro lo scaricare di questi ulteriori costi sulle spalle dei lavoratori.
Si aumentano gli spazi datorialiper il recesso che potrebbe avvenire non solo per giusta causa, ma anche per “profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto”.
1.3 Apprendistato
Il contratto di apprendistato è rivolto ai giovani tra i 15 e i 29 anni e consente di acquisire una qualifica professionale. Regola un rapporto di lavoro nel quale l’azienda si impegna ad addestrare l’apprendista, attraverso fasi di insegnamento pratico e tecnico-professionale.
Il compenso dell’apprendista non può essere stabilito in base a tariffe di cottimo e il suo inquadramento può essere parificato a quello di 2 livelli inferiori rispetto a quello previsto dal contratto aziendale per i lavoratori che svolgono la stessa mansione o funzione.
Si prefigura una sorta di uso dell’apprendistato – particolarmente favorevole per gli sgravi contribuitivi e i vantaggi retributivi di cui gode – per sostituire le residue assunzioni con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Infatti nel testo troviamo l’innalzamento del rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall’attuale 1/1 a 3/2.
E’ prevista la possibilità per i datori di lavoro che, qualora questi non abbiano alle proprie dipendenze lavoratori qualificati, possono assumere fino a 3 apprendisti (art.5, comma 1, lett.c).
E’ molto difficile che sia mantenuta la promessa di stabilizzare gli apprendisti perché non si agisce sulla trasformazione dei contratti scaduti, ma sull’ipotetica rivendicazione da parte di un futuro apprendista della trasformazione del rapporto. Infatti, l’ipotetica sanzione scatta soltanto se non viene trasformato il 50% degli apprendisti nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione. Ciò vuol dire che il divieto di assunzione non scatterà mai se il “nuovo” apprendista non si amesso nelle condizioni di conoscere la “storia delle assunzioni” precedenti la sua.
1.4 Lavoro accessorio
La collaborazione occasionale (o lavoro accessorio) è caratterizzata da un duplice vincolo: deve essere di durata complessiva non superiore ai 30 giorni nell’arco dell’anno solare e non può superare i 5 mila euro di retribuzione con lo stesso committente nello stesso anno solare.
Attraverso un ulteriore apertura delle maglie riguardo il lavoro accessorio si rischiano effetti che potrebbero essere esplosivi soprattutto nel settore primario. Si rischierebbe, infatti, un ulteriore aumento della precarietà di operai, braccianti ed impiegati.
Il contratto di inserimento, inserito nel testo di legge presentato il 23 marzo 2012, scompare completamente dalla versione successiva della riforma (quella del 5 Aprile). L’abrogazione di tale tipologia contrattuale, attraverso la quale il governo conta di dare sempre più spazio all’apprendistato, farà in modo che ci sarà una grossa fetta di soggetti in cerca di occupazione, che non ha più l’età per un contratto di mestiere, e che verrà automaticamente estromessa da una possibile occupazione agevolata per le imprese.