3. AMMORTIZZATORI SOCIALI
L’Aspi (assicurazione sociale per l’impiego) è la nuova forma di sostegno per lavoratori proposta dal Ministro Fornero, che rivoluzionerà l’attuale sistema degli ammortizzatori sociali, sostituendosi alla indennità di mobilità e alla cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione di attività. Ma cerchiamo di capire cosa cambia guardando gli schemi in basso.
3.1 Attuale sistema
3.1.1 Cassa integrazione guadagni ordinaria
Destinatari: dipendenti da imprese industriali che siano sospesi dal lavoro o effettuino prestazioni di lavoro a orario ridotto, per contrazione o sospensione dell’attività produttiva per situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai, ovvero determinate da situazioni temporanee di mercato.
Importo: 80% della retribuzione globale che sarebbe spettata ai lavoratori nelle ore di lavoro non prestate (comunque non oltre le 40 ore settimanali).
Durata: 3 mesi continuativi. In casi eccezionali tale periodo può essere prorogato trimestralmente fino ad un massimo di 12 mesi.
Tale copertura è l’unica mantenuta dal nuovo sistema di ammortizzatori sociali.
3.1.2 Cassa integrazione guadagni straordinaria
Destinatari: dipendenti sospesi dal lavoro nelle ipotesi di ristrutturazioni, riorganizzazioni o riconversioni aziendali, e nelle ipotesi di crisi aziendali. Da questa causale è stata “scorporata” la fattispecie di cessazione di attività, a partire dalla L. 291/2004. In sostanza, mentre la crisi aziendale coinvolge l’unità produttiva intesa nella sua interezza, la cessazione di attività è riferibile anche a quelle parti di attività che possono essere singolarmente e autonomamente individuate, pur nell’ambito di una unità produttiva.
Lo scopo di questa fattispecie è ridurre il ricorso alla mobilità dei lavoratori in esubero, salvo che non sia possibile ricollocare, anche parzialmente, i lavoratori al termine del periodo di fruizione. Ed è proprio quest’ultima fattispecie ad essere soppressa con il nuovo sistema.
Importo: 80% della retribuzione che sarebbe spettata ai dipendenti nelle ore di lavoro non prestate (comunque non oltre le 40 ore settimanali).
Durata: 2 anni, prorogabile per due volte (per la durata di 12 mesi per ciascuna proroga). Può avere quindi una durata complessiva di 48 mesi. La durata per crisi aziendale non può essere superiore a 12 mesi, e una nuova erogazione per la medesima causale può essere disposta solo con il decorso di un periodo pari a due terzi di quello relativo alla precedente concessione.
La CIGS trova applicazione nelle imprese che nel semestre antecedente alla presentazione della domanda, abbiano occupato mediamente più di 15 dipendenti (art 1 l. 223/1991). Rientrano nel calcolo gli apprendisti, i lavoratori a domicilio, gli assunti con contratto a tempo determinato, o quelli a tempo parziale.
3.1.3 Cassa integrazione in deroga
Esteso alle imprese che non presentano i requisiti richiesti per l’accesso alla cassa integrazione straordinaria. La disciplina è la stessa in quanto a importo e durata.
3.1.4 Indennità di mobilità
Destinatari: lavoratori disoccupati in conseguenza di licenziamenti collettivi a norma degli articoli 4 e 24 della L. 223/1991. Più precisamente:
nelle ipotesi in cui l’impresa ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, al termine del periodo di fruizione, ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi;
nelle ipotesi in cui imprese, con più di 15 dipendenti, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive nell’ambito del territorio della stessa provincia. In quest’ultima ipotesi il lavoratore deve far valere una anzianità aziendale di almeno 12 mesi.
Importo: 80% della retribuzione per i primi 12 mesi, riduzione al 60% nei periodi successivi.
Durata:
12 mesi per i lavoratori fino a 39 anni al Centro-Nord (24 mesi per il Sud).
24 mesi per i lavoratori fino a 49 anni al Centro-Nord (36 mesi per il Sud).
36 mesi per i lavoratori di oltre 50 anni al Centro-Nord (48 mesi per il Sud).
L’indennità di mobilità sarà gradualmente ridotta, fino ad essere interamente soppressa nel 2017.
3.2 Aspi (assicurazione sociale per l’impiego).
Destinatari: Tutti i lavoratori disoccupati con almeno 52 settimane di contribuzione nell’arco dell’ultimo biennio.
Importo: 75% della MEDIA RETRIBUTIVA DEGLI ULTIMI DUE ANNI, ridotto del 15% dopo i primi 6 mesi, ulteriormente decurtato del 15% dopo il dodicesimo mese.
Durata:
12 mesi per lavoratori fino a 55 anni.
18 mesi per lavoratori con più di 55 anni.
Il nuovo sistema è modellato sulla figura delle assicurazioni automatiche, la cui indennità cioè, è riconosciuta automaticamente al verificarsi di un evento attinente alla vita umana (in questo caso la perdita involontaria del posto di lavoro), e i cui contenuti sono determinati dalla legge.
In base a quanto esaminato fino ad ora possiamo sviluppare delle prime considerazioni.
Anzitutto il nuovo sistema comporta una drastica riduzione della protezione sia per quanto riguarda l’importo che la durata. I lavoratori possono godere di un solo anno di copertura (massimo 1 anno e mezzo per gli over 55), mentre ad esempio nel precedente sistema i lavoratori che godevano dell’indennità di mobilità provenivano per la gran parte da un periodo di fruizione della cassa integrazione straordinaria, con una copertura quindi di 60 mesi (e oltre per i lavoratori con più di 40 anni).
Sono esclusi da questa forma di sostegno i co.co.pro, collaboratori a chiamata e co.co.co statali, che rappresentano una larga percentuale dei lavoratori italiani.
Nell’attuale sistema, inoltre, il sostegno a coloro che hanno perso il posto di lavoro non si limita alla sola fruizione dell’indennità di mobilità, ma anche ad una serie benefici, connessi all’iscrizione nelle liste di mobilità, volti a garantire il reimpiego del lavoratore. Tali benefici sono riassunti nell’art 8 della l.223/1991 tra cui ricordiamo il diritto di precedenza nelle assunzioni effettuate entro un anno dall’azienda di provenienza; partecipazione a corsi di formazione e riqualificazione; benefici economici per le imprese che assumano lavoratori iscritti il liste di mobilità. Insomma, nel primo anno di disoccupazione il lavoratore è ancora in qualche modo legato al posto di lavoro precedente, e nel periodo successivo lo Stato si fa carico di tale stato di disoccupazione, con interventi di natura fiscale e previdenziale, per permettere un più tempestivo reimpiego dei lavoratori in esubero. L’art 8 sarà abrogato nel 2016, e mancando nel nuovo sistema forme di intervento simili a queste, l’effetto sarà quello di isolare i lavoratori disoccupati, sganciati dall’azienda di provenienza e dal mercato del lavoro in genere.
Altra considerazione importante da fare riguarda le cause di decadenza dal diritto di beneficiale di tale sostegno. Nell’attuale sistema il lavoratore decade dall’indennità ed è cancellato dalla lista di mobilità quando (tra le varie cause) non accetti un offerta di lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore al 10% rispetto a quello delle mansioni di provenienza.
L’art 62 della riforma, invece, prevede che il lavoratore decada da ogni trattamento qualora non accetti un offerta di lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore al 20% rispetto all’importo lordo non della retribuzione precedente, ma dell’indennità. Facciamo due calcoli sull’ipotesi di un lavoratore licenziato, con più di 55 anni, che percepiva una retribuzione pari a mille euro al mese: l’importo dell’indennità è pari al 75% della retribuzione (€ 750,00), a cui si applica una riduzione del 15% dopo i primi 6 mesi (€ 637,50), e un ulteriore 15% dopo i primi 12 mesi di fruizione (€542,00). In tale ipotesi il lavoratore decadrà dal trattamento qualora non accetti un impiego per una retribuzione pari a € 433,60 lordi!
Tali considerazioni si evincono dalla semplice lettura del DDL Fornero, ma proviamo ora ad azzardare un esame più approfondito della riforma degli ammortizzatori sociali, guardando anche al significato politico degli stessi.
Quello degli ammortizzatori sociali, in Italia, è un sistema complesso, frutto di stratificazioni di strumenti nel corso dei decenni, e questo a causa soprattutto del fatto che si è preferito per anni intervenire con deroghe e lievi riforme, senza mai toccare il cuore del sistema. La riforma degli ammortizzatori sociali era (ed è) necessaria, e tra gli obbiettivi del DDL Fornero vi è appunto questo: riordinare il quadro degli strumenti volti ad attutire gli effetti della sospensione o della cessazione di un rapporto di lavoro.
Ma ora guardiamo al risultato: un assicurazione (di importo e durata minimi) riconosciuti ai soli lavoratori che hanno perso involontariamente il posto di lavoro, mentre per coloro che sono stati sospesi, gli strumenti di sostegno restano gli stessi, ossia le varie forme della cassa integrazione. Tre strumenti su quattro restano in vigore e la riforma semplifica ben poco del sistema attuale.
Ma qual è allora lo scopo della riforma degli ammortizzatori sociali? Fornire un reddito minimo ai disoccupati. “La questione del reddito minimo è un problema di cittadinanza” ha affermato la stessa Fornero nel dicembre 2011, dichiarandosi personalmente favorevole al reddito garantito. Proviamo però a guardare oltre tali affermazioni propagandistiche: con la modifica della norma sui licenziamenti, resi più semplici, milioni saranno i posti di lavoro a rischio ed è chiaro che il reddito minimo diventa una soluzione quasi obbligatoria.
Il nuovo sistema degli ammortizzatori sociali si ricollega non solo ai licenziamenti facili, ma anche alla riforma delle pensioni. L’aumento dell’età pensionabile comporterebbe l’obbligo per le imprese di tenere dipendenti fino a 65/67 anni, ovviamente meno produttivi di un trentenne. Ecco che interviene allora il nuovo art 18, che rende i licenziamenti individuali più liberi perché qual’ora si accerti l’esistenza di licenziamenti privi di fondamenti giustificativi, la sanzione non è più il reintegro (ecco ancora il legame tra lavoratore e il posto di lavoro) ma una semplice indennità. Intanto al lavoratore disoccupato è riconosciuto un solo anno di copertura, senza alcun tipo di intervento statali che garantiscano il reimpiego dello stesso.
Insomma il mercato del lavoro, cosi come concepito mette a rischio milioni di posti di lavoro, soprattutto delle fasce di lavoratori più anziani, e inevitabile è un nuovo sistema di ammortizzatore sociale che:
Ridimensioni la portata economica della copertura;
“alleggerisca” il peso dei disoccupati, eliminando ogni intervento diretto dello Stato volti a favorire il reinserimento degli stessi nel mercato del lavoro.
E l’aspi, come abbiamo visto, risponde perfettamente a queste esigenze.